sabato, settembre 30, 2006

L'ultimo appello di Ocalan

Alla stampa e all’ opinione pubblica Sin dal 1993 cerco di andare incontro all’esigenza di una soluzione pacifica e senza violenza della questione kurda. Per questo motivo ho invitato quattro volte a fare cessate il fuoco; ogni volta senza risultato. Da dieci anni sono convinto che con la violenza si può arrivare solo fino ad un certo punto. Una soluzione definitiva non la si raggiunge. Al massimo si può distruggere uno stato, ma la distruzione del tetto seppellirebbe tanto noi stessi quanto lo stato. Perciò sono convinto della necessità di un cessate le armi. Si è sparso molto sangue, da ambo i lati sono morti in molti senza che ciò abbia aperto una strada risolutiva. L’opinione pubblica è a conoscenza dei nostri sforzi nelle fasi di non belligeranza, non occorre che li descriva in dettaglio, ma tali sforzi sono stati vani sia a causa nostra che dello stato. Da una un po’ di tempo in Turchia persone ragionevoli, amanti della democrazia e vari gruppi esternano il loro desiderio impellente di un cessate le armi e di pace. Perciò è necessario fermare lo spargimento di sangue e dare alla pace un ulteriore possibilità. Una soluzione democratica in Turchia per mezzo di passi democratici da intraprendere ora servirà anche da esempio negli altri Paesi della questione kurda. La Turchia potrebbe quindi diventare una democrazia modello per tutto il Medio Oriente. Ciò andrebbe a favore di tutti i popoli in Medio Oriente, dove ci sono pesanti scontri e grandi pericoli minacciano l’umanità. Questa situazione può essere superata solo se si afferma la democrazia. lo sviluppo di una cultura democratica nel nostro paese offre la possibilità di costituire un’unità e un’alleanza democratica tra turchi e kurdi ed è quindi di estrema importanza per il futuro dei nostri popoli. Questo processo aprirà anche la strada al dialogo democratico. Cerchiamo di fare insieme in modo che in Turchia e in Medio Oriente le armi non costituiscano sempre il modo per ottenere le cose. Seppelliamo le armi. Per raggiungere tutto ciò io contribuisco, invitando il PKK a deporre le armi. Spero che il PKK colga questo invito e si arrivi al risultato sperato. Questo processo di deposito delle armi è molto importante, ma non è sufficiente. Ci sono molte cose essenziali che devono essere fatte in seguito. Anzitutto questo processo deve acquisire stabilità: si possono infatti verificare provocazioni, non penso però da parte del PKK. Ma anche in quel caso ci si dovrebbe passare sopra e non farne un dramma. Nessuna delle due parti dovrebbe lasciarsi provocare, ma dovrebbe perseverare nel processo di pace con sincerità. Può succedere che l’esercito, per motivi di sicurezza, prende determinate decisioni. Lo si può affrontare con comprensione, ma io spero che l’esercito non faccia grandi operazioni. Per l’altra parte vale, come ho ripetutamente sottolineato, la legittima difesa è contestualmente un diritto irrinunciabile e un dovere. Il PKK decisamente non utilizzerà le armi fino a quando non vi saranno azioni di annientamento contro di loro. Per far procedere il processo di pace è necessario agire con senso di responsabilità. Il cessate le armi non dovrebbe essere interpretato come un segno di debolezza, come è già accaduto in passato. Tutti devono sapere che esso è il risultato di un impellente desiderio di pace sociale. In questo processo dobbiamo raggiungere insieme l’unità democratica tra Kurdi e Turchi. Se il processo che inizia ora viene sfruttato bene può portare ad una rifondazione democratica della repubblica. Può di nuovo suscitare entusiasmo, dinamismo ed unità. Il presidente del consiglio ha detto una frase che trovo significativa: “Possiamo far diventare la Turchia un paese speciale, che può fare da modello per tutto il Medio Oriente.” Questo è esattamente ciò che voglio anch’io. Mi rivolgo al vertice dello stato quando dico: Possiamo far diventare la Turchia, per le sue particolari condizioni, un paese modello per il Medio Oriente. Venite, facciamo insieme tutto quello che è necessario, poiché la pace in Medio Oriente può essere raggiunta solo attraverso l’unità tra Turchi e Kurdi. La base per un siffatto progetto la possiamo costruire soltanto noi stessi all’interno del nostro comune Paese. A tal fine è necessario parlare con tutti: con tutti i gruppi in Turchia, con la stampa, i partiti politici, le organizzazioni della società civile e con tutti coloro che mostrano interesse e che contribuiscono al processo di pace. Da una soluzione democratica, di pace e fondata sul dialogo trarrebbero tutti grande profitto. Io agisco in buona fede e mi aspetto che anche lo stato faccia altrettanto. Se i miei ragionamenti venissero ascoltati, se giungessimo alla pace, la Turchia farebbe un salto avanti in tutti i campi: si libererebbe di un grande peso, la sua economia si ristabilirebbe, acquisirebbe stima in Medio Oriente e diventerebbe modello politico. Anche i paesi dell’EU e le forze in Kurdistan meridionale dovrebbero dare il loro contributo. Si dovrebbe dialogare anche con l’Iran, l’Iraq e la Siria per invogliarli a risolvere pacificamente la questione kurda all’interno dei loro rispettivi territori. L’EU e gli USA devono dare il loro sostegno o, almeno, non ostacolare il processo di pace. Io spero che tutti i gruppi coinvolti colgano questo appello in maniera responsabile e meticolosa e che non continuino ad ignorare la reale necessità di pace e le possibilità che il processo di pace stesso offre senza sfruttarlo. Potrebbe essere la nostra ultima possibilità. Se tale processo non viene sfruttato correttamente e con sincerità, gli sviluppi potrebbero raggiungere un punto di non ritorno. Se non c’è risultato questa volta, mi vedo incapace di fare un altro richiamo e anche il PKK non mi ascolterebbe più. È per ciò che questa tregua è tanto importante e deve essere sfruttata. Perché in Medio Oriente si possa formare una cultura democratica, perché si possa formare l’unità ed un patto turco-kurdo, perché l’attuale sofferenza si trasformi in pace dignitosa e felicità, per una vita libera, perché i nostri popoli non debbano più soffrire, perché possiamo guadagnare dieci volte ciò che abbiamo perduto e per raggiungere amore e tolleranza reciproci, io invito tutti i responsabili ad agire. Sono convinto che questo processo rappresenti una grande occasione e mi auguro che una tregua su queste basi possa rappresentare un buon inizio. Amore e rispetto Abdullah Öcalan 27.9.2006 Imrali

mercoledì, settembre 27, 2006

Roni Ben Efrat a Lecce

SABATO 30 SETTEMBRE A LECCE incontro

con la giornalista Israeliana
RONI BEN EFRAT

organizzato da

  • AWMR-Associazione Donne della Regione Mediterranea
  • Forum Donne del Prc
  • Consorzio 360° Sud
Sono previsti due momenti nella stessa giornata.
Il primo alle ore 17,30
presso la libreria 360° Sud , in piazzetta S.Chiara.
Il secondo alle ore 19,30
presso il Circolo ZEI in Corte dei Chiaramonte (alle spalle della Chiesa del Gesù).
Roni Ben Efrat dirige la rivista CHALLENGE MAGAZINE, pubblicata a Tel Aviv da arabi ed ebrei inieme, impegnata sul fronte della risoluzione del conflitto israelo-palestinese.
Inoltre Roni da anni si dedica ad attività di cooperazione palestinese-israeliana. Esempio concreto di tale attività è la cooperativa SINDYANNA DI GALILEA, risposta pacifica di un gruppo di donne palestinesi e israeliane all'insensata guerra dichiarata dal governo israeliano agli ulivi palestinesi.
Nel primo incontro alla Libreria 360° Sud, Roni illustrerà in particolare l'attività della cooperativa Sindyanna e le prospettive della cooperazione internazionale nell'area medio-orientale.
Il secondo appuntamento, al Circolo ZEI, sarà invece incentrato sulla situazione politica attuale in Medio Oriente.

martedì, settembre 05, 2006

Alcuni retroscena sul rigassificatore

In Nigeria schiacciamo gli indigeni, in Italia scavalchiamo i cittadini. E' partito un appello per denunciare le violazioni dei diritti Sangue sui rigassificatori Le multinazionali del gas (le stesse del petrolio) devastano l'ambiente con roghi ininterrotti, 24 ore su 24. La popolazione è costretta ad inalare esalazioni continue. Queste multinazionali, per difendersi dalle popolazioni che protestano, godono della protezione dell'esercito nigeriano che reprime gli insorti e brucia le baraccopoli per punire i ribelli. E l'Italia è dentro fino al collo per via dei rigassificatori e di un megacontratto firmato con la Nigeria. Per aderire all'appello si può scrivere a:
Alessandro Marescotti 3 settembre 2006
E' venuto il momento di svelare il retroscena tutto italiano della scelta dei rigassificatori. Essi sono collegati ad una fornitura di metano dalla Nigeria che l'Italia ha sottoscritto tramite l'ENI subito dopo l'impiccagione di un gruppo di attivisti ecologisti. Fu firmato un contratto per la fornitura di gas liquefatto senza che fossero stati approntati i rigassificatori in Italia. E questo contratto di fatto "rende necessaria" la loro realizzazione in quanto la rigassificazione attualmente sta avvenendo in Francia in attesa che vengano costruiti i rigassificatori italiani. Mentre i sostenitori di questi impianti dicono che essi offrono maggiori garanzie di approvvigionamento, va detto che è a rischio proprio il gas della Nigeria destinato ai rigassificatori italiani. Infatti in quella nazione è in corso una sollevanzione popolare contro le multinazionali del gas. Un tecnico italiano è stato rapito il 25 agosto scorso e poi rilasciato il 29. Le multinazionali del gas (le stesse del petrolio) devastano l'ambiente con roghi ininterrotti, 24 ore su 24. La popolazione è costretta ad inalare esalazioni continue. E' in atto un profondo e incessante inquinamento del delta del Niger non solo per estrarre petrolio ma anche per il metano, che viene sondato con metodologie assolutamente dannose per l'ambiente. Le multinazionali dell'energia, per difendersi dalle popolazioni che protestano, godono della protezione dell'esercito nigeriano che reprime gli insorti e brucia le baraccopoli per punire i ribelli. Leggiamo su www.repubblica.it del 25/8/2206: "La baraccopoli che circonda il complesso della Saipem a Port Harcourt è stata data alle fiamme da soldati dell'esercito nigeriano, poche ore dopo il sequestro di tre subcontrattisti della societa', tra cui un italiano. "Sono arrivati, hanno gettato benzina sulle case e hanno dato fuoco: volevano ucciderci" ha raccontato un testimone, "sono stupito che siano i nostri stessi soldati a farci una cosa simile: che cosa abbiamo fatto di male?" Alcune famiglie tornate sui resti carbonizzati della baraccopoli per raccogliere quello che si era salvato sono state allontanate a sassate dai soldati rimasti di guardia". Questo solleva una vera e propria "questione morale" che rivela di che lacrime e sangue grondi l'affare che si cela dietro la scelta politica dei rigassificatori. E' attraverso questo saccheggio che il gas della Nigeria destinato ai rigassificatori è "concorrenziale" con il gas della Russia e dell'Algeria che in Italia arriva tramite i gasdotti. Chiediamo a tutti i sostenitori del "gas pulito" dei rigassificatori se questo è accettabile e se per ricattare l'Algeria (e pagare un po' di meno il gas metano) sia lecito inquinare l'Africa e saccheggiarla ancora di più. Chiediamo se per garantire questo saccheggio sia anche morale tollerare la repressione, assistere a pestaggi e violenze di ogni genere. Chiediamo a quelle associazioni che sostengono i rigassificatori, come Legambiente e Wwf, di riflettere sull'enorme inquinamento prodotto in Africa da chi ci procura il "metano pulito" - sottraendolo tra l'altro all'uso locale e allo sviluppo africano - per rendere ancora più bassi i costi energetici di un Nord del mondo opulento che spreca l'energia e che non vuole pagare alle popolazioni locali i diritti di indennizzo sulle loro risorse naturali. E' in atto una campagna informativa pro-rigassificatori che li presenta come indispensabili per non passare "l'inverno al freddo". E' falso. In realtà il metano può giungere tramite i metanodotti in quantità più che sufficiente. Recentemente l'Italia ha infatti concluso accordi per l'incremento dei metanodotti con l'Algeria e il contenzioso Russia Ucraina si è risolto con un nuovo accordo commerciale. Il vero obiettivo dei rigassificatori non è quindi quello di "portare il metano" ,a di abbasserne il prezzo, ossia di mettere in competizione i paesi produttori con dinamiche che incrementeranno non solo la concorrenza ma la repressione politica e l'inquinamento in una logica di globalizzazione e di corsa verso il basso nell'abbattimento di tutti gli standard di sicurezza e di compatibilità ambientale. Lì dove è arrivata in Africa l'industria dei rigassificatori c'è ora il deserto, lo sviluppo si è bloccato, l'agricoltura è stata devastata, l'acqua è imbevibile, l'aria è irrespirabile. E' accettabile tutto questo? Riteniamo che su questo retroscena non si possa più tacere. Se in Italia la logica dei rigassificatori scavalca i cittadini, in Nigeria li schiaccia ed è nostro dovere denunciare quanto sta accadendo. Ci ritorna alla memoria lo scrittore nigeriano Ken Saro-Wiwa e altri otto attivisti ogoni condannati a morte da un tribunale militare. Furono uccisi il 10 novembre 1995 perché si opponevano con la nonviolenza all'inquinamento e alla repressione delle multinazionali del petrolio e del gas. Ken Saro-Wiwa disse prima di morire: "Io sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra". Quella lotta oggi continua ancora e noi non possiamo far finta di nulla. L'affare RIGASSIFICATORI ci genera più di qualche dubbio etico. Oggi altri Ken Saro-Wiwa, sconosciuti e indifesi, vengono schiacciati, picchiati, uccisi: perché quest'inverno dobbiamo risparmiare sulla bolletta. --- CHI VUOLE FIRMARE QUESTO APPELLO SCRIVA ALL'ESTENSORE: Alessandro Marescotti
Verrà pubblicato il suo nome e cognome, l'eventuale professione o gruppo organizzato di appartenenza, nonché la città da cui scrive. Può aggiungere anche una breve frase di commento.