martedì, febbraio 07, 2006

Un eroe italiano?

Apprendiamo da fonti giornalistiche che anche il Comune di Maglie intende procedere all’intitolazione di una strada cittadina a "Fabrizio Quattrocchi – eroe italiano". La circostanza rientra in una grande offensiva politica della destra italiana finalizzata a ricordare "l’eroico gesto" della guardia del corpo genovese rapita ed uccisa in Iraq nell’Aprile del 2004, dedicandogli strade e piazze d’Italia. Riteniamo che la proposta del centro destra di intitolare una strada del nostro Comune a Fabrizio Quattrocchi, al quale rivolgiamo il nostro rispetto per il suo rapimento e la sua tremenda morte, sia soltanto propagandistica. Essa proviene, d’altra parte, proprio dai responsabili politici della partecipazione dell’Italia ad una guerra cosiddetta "preventiva" ma di fatto lesiva dei fondamenti della nostra Costituzione. La morte di Fabrizio Quattrocchi, come tutti ricorderanno, appartiene a quella complessa vicenda che è stata ed è tuttora la guerra in Iraq. L’offensiva voluta dal governo americano all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle di New York e all’attacco contro il regime afgano dei Taleban, accusati di fornire ospitalità al terrorista saudita Osama Bin Laden, rappresenta un tassello di quella strategia bellica dell’aggressione sistematica e preventiva ad ogni potenziale pericolo per la stabilità degli Stati Uniti d’America. La "guerra preventiva" secondo i suoi massimi teorici, il presidente Bush, il suo ministro della difesa Rumsfeld e gli estimatori europei Blair e Berlusconi, consente ad un paese occidentale che ritenga minacciata la sua sicurezza interna e i propri interessi economici nel mondo, di poter attaccare qualsiasi Stato sovrano sospettato di essere connivente con gruppi e movimenti legati al terrorismo islamico. Ovviamente la guerra è preventiva, le prove di eventuali legami tra questi paesi e i fondamentalisti islamici invece, sono successive al conflitto… sempre che si riescano a trovare! I prodotti di questa singolare strategia, finalizzata in ultima analisi anche all’esportazione del bene supremo della Democrazia, attraverso le armi, sono di particolare rilevanza! Infatti, a quasi tre anni dall’inizio del conflitto in Iraq, la situazione è ben lungi dall’essere pacificata, questo paese che in tutta l’area Mediorientale era considerato lo Stato più laico ora è fomentato dall’integralismo islamico. Con un grande effetto domino, gli sforzi di riformare il vicino Iran, attraverso la guida del moderato Kathami sono definitivamente naufragati nel fanatismo del nuovo presidente Ahmadinejad. In Palestina nelle ultime elezioni politiche ha trionfato Hamas, la fazione più ostile al processo di pace con Israele. La morte di Fabrizio Quattrocchi è figlia di questa teoria, proprio come l’uccisione del freelance-pacifista Enzo Baldoni o le vittime (tutte) dell’attentato di Nassiriya. Sono effetti collaterali, per usare il gergo proprio dei militari, di un conflitto che non doveva esserci, perché nell’assoluta inutilità della guerra, se possibile, era ancora più inutile degli altri. Andando nel merito della proposta di intitolazione di una strada a Fabrizio Quattrocchi, secondo i suoi proponenti, la ragione va ricondotta all’affermazione da questi fatta nel momento dell’esecuzione: -"Vi faccio vedere come muore un italiano"- Riteniamo infatti che le parole pronunciate dal giovane un attimo prima di venire barbaramente ucciso, siano il segno di una morte non eroica: sono gli ideali per cui una persona vive e per i quali affronta grandi rischi o addirittura la morte ad indurci a formulare un giudizio di eroismo e non perché il suo lavoro era realisticamente pericoloso. Tanti sono i lavoratori che muoiono durante il loro lavoro che meriterebbero allora d’essere considerati come martiri ma che non trovano posto nella toponomastica delle nostre città. Comprendiamo come questa frase, urlata con la disperazione di un uomo che muore, può infiammare l’istinto patriottico di qualche spento dirigente di Alleanza Nazionale ma se vogliamo analizzarla fuori da quel contesto assume tutt’altra connotazione. Sfidare i propri aguzzini non è atto eroico, quell’asserzione invece instilla un germe di profondo razzismo, rappresenta la manifesta superiorità della gens italica anche nel momento di morire. Ci chiediamo come muore un italiano? Forse in modo dissimile da un irakeno? O da un bambino curdo in Turchia? Peraltro va aggiunto che a differenza di altri italiani caduti nello scenario irakeno nell’espletamento di un pubblico servizio, Fabrizio Quattrocchi e i suoi tre "colleghi" si trovavano in Iraq in circostanze ancora oggi non del tutto chiarite, oggetto tra l’altro d’indagine da parte della Magistratura italiana. Allora perché ricordare Quattrocchi e non il già citato pacifista Enzo Baldoni? Oppure il funzionario dell’intelligence Nicola Calipari ucciso dal fuoco amico durante la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena? Tutte vittime della guerra preventiva. La Biblioteca di Sarajevo respinge con determinazione la pratica della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazioni o addirittura come risposta preventiva alle potenziali minacce ad un ordine internazionale precostituito. Propone pertanto che in tutte le città vengano ricordate le vittime di questo periodo storico, senza martiri o eroi, tutte le vittime, senza distinzione di razza o religione, con l’intitolazione di luoghi pubblici ai "caduti di tutte le guerre preventive". La triste vicenda di questo giovane coraggioso ci deve semmai far riflettere sulle terribili conseguenze che una guerra comporta in termini di rischi e di brutalità e portarci a ripudiare tutte le guerre. fonte: www.bibiliotecadisarajevo.it

1 commento:

Anonimo ha detto...

e basta!!!